Educazione di genere, un altro genere di educazione

Martedì 26 Novembre 2013

Quando leggo i giornali in questi giorni, come genitore (ma anche come essere umano), mi vengono i brividi. Bambine di 11 anni in attesa di un figlio. Ragazzine di 13-16 anni che si prostituiscono. Ragazzini adescati nei sottoscala per una ricarica.

Subito dopo accendo la tv ai bambini e tra un cartone e l’altro la pubblicità all’avvicinarsi del Natale mi lascia come sempre perplessa. Armi, mostri, videogiochi per i maschietti (ma anche il piccolo chimico o il Lego quando va bene). Ferri da stiro, lavatrici, piccole cucine di plastica, Barbie e Winx all’ultima moda per le bambine, presentate da piccole lolite truccate e pettinate come io non sarei mai nei giorni migliori (e qui c’è poco spazio per giochi scientifici).

Ok il panorama oscilla tra lo sconfortante e il disgustoso. Ma ci sarà pure un modo di farvi fronte no? Immersa in queste riflessioni ho incontrato una ragazza brillante e impegnata, Chiara Paoli, 27 anni, studentessa di Ostetricia a Modena e presidente e fondatrice, con Jonathan Mastellari e Marìa Antonia Callén Poderós, dell’Associazione Culturale Te@.

L'Associazione Culturale Te@ nasce nell’agosto 2012 dalla volontà di confronto ed impegno di un gruppo di giovani interessati alle tematiche di genere, interculturalità e diversità. Scopo dell'Associazione è di diffondere una cultura di rispetto della diversità, stimolando in particolare il dibattito e la curiosità sulle questioni di genere; ha sede in Provincia di Trento, ma opera in ambito nazionale ed europeo.

Quali sono le Attività della vostra Associazione?

Il nostro obiettivo è di superare gli stereotipi di genere e tutte quelle gabbie nel rapporto costruito socialmente tra uomo e donna. Ci occupiamo di formazione con giovani e adulti e abbiamo attivato dei laboratori sul tema delle pari opportunità e dei rapporti di genere.

A gennaio partirà un progetto in una scuola superiore, l’Istituto professionale "S.Pertini" a Trento, sul tema del corpo e dell’affettività e del rapporto tra ragazzi e ragazze. Lo scopo è di creare un’apertura al rapporto con l’altro inteso come altro culturale, straniero, omosessuale altro come diverso in genere. I giovani in questo sono molto più recettivi e pronti a discutere le loro idee ed emozioni e le cose stanno cambiando da questo punto di vista.

Vogliamo ampliare il nostro intervento alle scuole medie ma è ancora presto, siamo ancora una piccola realtà.

Da dove nasce secondo te lo stereotipo di genere?

Lo stereotipo di genere viene trasmesso principalmente in famiglia e a scuola. La famiglia è la base da cui provengono i messaggi principali sulla differenza di genere. Danno un imprinting difficile da cancellare. Gli stereotipi di genere partono dal pancione addirittura, quando ti regalano i vestiti rosa o azzurri, creando un’aspettativa di genere. Ci sono delle ricerche molto interessanti sui complimenti fatti alle bambine rispetto a quelli fatti ai bambini: sono stati scambiati i vestiti rosa e blu tra maschietti e femminucce e poi registrati i commenti per strada. La bambina viene sempre definita "carina" e "tranquilla", il maschietto è "monello”, “scatenato", "attivo", etc.

Anche quando si tratta del bambino di sesso opposto l’aspettativa definisce l’atteggiamento e il modo di vedere quel bambino. Questo dimostra quanta aspettativa sociale e culturale viene investita sul bambino e che nel tempo il bambino impara a cucirsi addosso. La stessa idea di paternità è basata su queste differenze di genere.

Ad esempio dopo la delibera della Provincia di Trento sul permesso retribuito ai padri lavoratori, un giornale locale ha titolato: "E adesso sta a casa anche il mammo". "Mammo" è un termine che, oltre ad essere brutto da sentire, tende a sminuire il ruolo del padre nella cura del bambino, femminilizzandolo. Si crea un neologismo per svalorizzare un ruolo familiare che è invece importantissimo.

A scuola invece?

Per le scuole ci sono molte iniziative valide. C’è una nuova sensibilità per la formazione degli insegnanti alle tematiche di genere sia a livello nazionale che locale. La scuola, si sa, è un luogo di donne. L’80% delle insegnanti sono donne; parallelamente, i giovani uomini hanno nella scuola pochi modelli maschili. Per questo la formazione degli insegnanti in questo senso è così importante. Ci sono interventi importanti anche sulla parificazione dei libri di testo per le scuole elementari.

La parificazione dei libri di testo ha lo scopo di eliminare tutti quei metamessaggi del tipo: "La mamma deve fare una torta con 5 uova…" oppure "il papà torna dal lavoro…" etc... Eliminare questi messaggi è un passo importante per promuovere l’uguaglianza di rapporto, anche nei libri di scuola su cui avviene la formazione dei bambini e dei ragazzi. Il dipartimento di Scienze dell’educazione di Bologna in questo senso sta facendo in grandissimo lavoro.

Nella ricerca nazionale sui testi per l’infanzia possiamo vedere come il ruolo delle bambine sia comunemente passivo, siano spesso collocate in un ambiente domestico (il castello, la casa,…). La bambina non scopre, non viaggia. Al contrario i maschi sono più attivi, vivono delle avventure, viaggiano. I testi per l’infanzia sono molto orientati in un’ottica di genere.

Avete avuto difficoltà a proporre la formazione di genere nelle scuole?

No, in realtà abbiamo riscontrato un grande interesse sia tra gli insegnanti sia tra i genitori, ma il problema principale è quello del finanziamento da parte delle scuole. Il progetto genere e la memoria,  è stato finanziato dall'assessorato alle pari opportunità, mentre la comunità di valle ha finanziato dei laboratori sul genere nell'ambito del "Percorso per la conoscenza delle pari opportunità e del progetto Family in Trentino" organizzato dalla Comunità di valle Alta Valsugana e Bersntol (Assessorato alle Politiche Sociali) in collaborazione con i comuni di Baselga di Pinè, Bedollo, Civezzano, Fierozzo/Vlarötz, Frassilongo/Garait, Fornace e S.Orsola.

Il finanziamento diretto delle scuole è molto più difficile. Ma l’interesse è molto diffuso grazie al lavoro della Zanardo con il documentario Il corpo delle donne, il messaggio della Boldrini sull’oggettivizzazione del corpo della donna e le molte iniziative locali, nazionali e internazionali. Parlando di diversità di genere viene naturale pensare anche alla diversità di orientamento sessuale. Perché’ parlare di omosessualità in famiglia, fa così paura?

Fa paura perché non siamo abituati a pensare in termini di diversità. Soprattutto nei piccoli centri e nelle periferie, dove non ci sono forti reti di sostegno per chi ha un orientamento sessuale "diverso", è difficile che ci siano anche delle iniziative che aiutino la popolazione a conoscere questa realtà e di conseguenza a parlarne o a viverla serenamente.

Da che età è opportuno parlarne ai bambini? 'il progetto genere e memoria è stato finanziato dall'assessorato alle pari opportunità, mentre la comunità di valle ha finanziato dei laboratori sul genere nell'ambito del "Percorso per la conoscenza delle pari opportunità e del progetto Family in Trentino" organizzato dalla Comunità di valle Alta Valsugana e Bersntol (Assessorato alle Politiche Sociali) in collaborazione con i comuni di Baselga di Pinè, Bedollo, Civezzano, Fierozzo/Vlarötz, Frassilongo/Garait, Fornace e S.Orsola Terme.

Noi operiamo dai 14 anni in su per ora ma non c’è un’età definita. Ci sono però diverse formulazioni adatte alle diverse età, in forma di gioco o di racconto o fiaba.

Ricordo un bellissimo libro: “Piccola storia di una famiglia. Qual è il segreto di papà?”, la storia di due bambini che hanno i genitori divorziati. I bambini hanno paura che il papà sia malato all’inizio perché sentono che i loro genitori parlano sottovoce e nascondono qualcosa e che non torni più a casa. Quando scoprono che è innamorato sono felici e conoscono la verità, papà ha un nuovo compagno. L’argomento quindi può essere affrontato a ogni età. Il bambino non deve essere lasciato a se stesso di fronte ai messaggi schizofrenici dei mass media e della società. Ora vengono a contatto con queste tematiche in un'età sempre più precoce e vanno spiegate e affrontate.

Devono essere aiutati a gestire la diversità nel contesto sociale in cui vivono. Per fare questo i genitori devono essere informati e dimostrarsi aperti e pieni di amore verso un figlio che confida i propri dubbi o il proprio orientamento sessuale.

Dopo questa bella chiacchierata sono tornata a casa decisa a cercare nuove informazioni su questi argomenti e mi sono presto persa in un mare di splendide e interessanti iniziative, pubbliche e private, bibliografie, documentari per adulti, ragazzi e anche bambini. Sono argomenti di cui si parla decisamente troppo poco ai bambini. Forse perché non si è sufficientemente preparati ad affrontare argomenti così importanti con il giusto linguaggio. Forse l’imbarazzo o l’abitudine hanno la meglio. Forse non si conoscono. Credo quindi che un’Associazione come Te@ e tutte le altre associazioni che come loro cercano di mettere in luce le diversità che ci circondano siano una ricchezza grandissima per insegnare ai nostri figli il rispetto, la diversità e la gioia di rapportarsi con aspetti della realtà quotidiana che spesso ci sfuggono.

Nella speranza che siano i nostri bambini un giorno a creare quella società di accoglienza e reciproco rispetto che noi grandi fatichiamo tanto a immaginare.

"Sono Annalisa Aloisi, ho 35 anni, un marito, 2 bambini di 8 e 6 anni e due gattoni. Sono appassionata di libri, montagna, medicina e guarigione naturale, sono operatore Reiki di secondo livello. Alla perenne ricerca della mia strada, in continua revisione di me stessa, sogno di poter un giorno lavorare con le passioni."

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