Logopedia: inizia una nuova avventura!

Mercoledì 15 Gennaio 2014

Guardo mio figlio, 4 anni tra qualche giorno, mi borbotta qualcosa, mi racconta la sua giornata. Io lo guardo un po’ sconsolata: ho capito la metà delle cose che mi ha raccontato.

Che aveva qualche problema di linguaggio lo avevo capito già da un bel po’ solo che ho sempre preferito ascoltare chi mi diceva “ma vai tranquilla che prima o poi si sblocca, anche mio figlio/il figlio di/mio nipote...” e via a raccontare esempi di questi bambini, fino al giorno prima muti, che si sono trasformati in oratori dalla perfetta dizione dalla sera alla mattina. Io ci ho sperato per mesi... finché anche la maestra non si è arresa all’evidenza e mi ha consigliato di fissare un appuntamento con la logopedista.

La prima visita è conoscitiva, Samuel rimane a casa (o meglio alla materna visto che è mattina) e io vado a conoscere la sua (probabile) futura logopedista. Mi fa una serie di domande, su di lui principalmente, ma anche su tutta la famiglia per capire le dinamiche di casa nostra: mi sento un po’ sotto esame e ho paura di dire qualcosa di sbagliato. La visita finisce e fissiamo un altro appuntamento, questa volta con Samuel.

Lui, con l’entusiasmo che lo contraddistingue passa tutto il viaggio in macchina a parlarmi del suo appuntamento con la “vovopeista”, mi chiede chi è (una dottoressa che ti aiuterà a tirare fuori quelle letterine nascosta che non vogliono uscire), cosa fa (ti farà fare dei bellissimi giochi), dov’è (in città, proprio in centro centro... speriamo di trovare un parcheggio).

Mentre io me ne sto un po’ in disparte (a mordermi la lingua per non fare da traduttore) Samuel e la sua dottoressa guardano animali e libretti: intanto la dottoressa segna su un foglietto tutto quello che Samuel le racconta. Lo incoraggia, gli dice che è bravissimo anche quando sbaglia a indicare le figure. Io intanto dentro tremo: sono cose che dovrebbe sapere? Perché non gli ho mai spiegato come è fatta la cassa di un supermercato? E la palla da tennis? Perché non gli ho mai spiegato la differenza tra una palla da tennis e una palla da calcio? E’ difficile non sentirsi sotto esame quando uno specialista controlla i progressi di tuo figlio. Mi chiedo se ho sbagliato qualcosa e se gli sbagli si possano riaggiustare oppure no.

Quando hanno finito di “giocare” la dottoressa torna da me, mi dice che Samuel è sveglio e collaborativo, capisce tutto quello che gli si chiede, non ha problemi di comprensione e neanche a rapportarsi con le persone, ma che si, ha dei forti ritardi nel linguaggio. Una fitta mi attraversa la schiena “avrei dovuto portarlo prima?” “Probabilmente si, sarebbe stato meglio, adesso probabilmente sarà una cosa lunga ma si sistema tutto”

Il senso di colpa torna a farmi visita. Avrei dovuto muovermi prima. E probabilmente lo avrei fatto se non fossi stata tanto occupata a negare che avevamo un piccolo problema da affrontare. Se non fossi stata occupata a dirmi “domani mattina si sveglierà e parlerà un sacco”. Noi genitori a volte facciamo così, facciamo errori, nascondiamo la testa sotto la sabbia e poi ci sentiamo in colpa. Ma non serve a nulla. Non abbiamo il libretto d’istruzioni e ci muoviamo al meglio delle nostre capacità in un terreno sconosciuto. L’importante è non fermarsi a pensare alle nostre mancanze, l’importante è guardare l’obiettivo e andare verso la meta e imparare dagli errori.

Per quello che riguarda la logopedia, Samuel (per un motivo che probabilmente non ci sarà mai del tutto chiaro – le continue otiti avute da piccolo? Il ciuccio abbandonato a 3 anni suonati? Uno scarso interesse per le parole?-) non ha ancora imparato a produrre una serie di suoni. Lo stesso gruppo lessicale (atte, occio, anno...) indicano per lui diversi oggetti. Questo gli genera una certa delusione quando si accorge che gli adulti che lo circondano non sempre capiscono quello che vuole dire. “Questo si è visto subito” mi spiega la dottoressa “appena arrivato ha provato a dire tante cose, quando ha visto che io non capivo, ha perso interesse e ha iniziato a parlare meno”.

In questi giorni spesso mi chiedono consigli sul portare o meno un bambino a fare una visita da un logopedista. Non sono un’esperta, ma con il senno di poi posso dire che, dando sempre il dovuto peso al parere delle maestre e del pediatra (che conoscono bene la storia del bambino), una visita, almeno per togliersi il pensiero, non può che essere positiva.


Stefania D'Elia Stefania D'elia su Facebook

Stefania D'Elia

Sono mamma di 2 bambini di 5 e 3 (quasi) anni. Sono stata per anni un’impiegata, poi un licenziamento e la mia vita è cambiata.

Ho scelto di cavalcare gli eventi e ho iniziato a scrivere; di me, di noi, delle mamme. Ho gestito per mesi un magazine on-line, ho un blog personale e scrivo articoli che parlano di donne e famiglia su www.trentoblog.it e ora sono alla ricerca di nuove sfide.