Social vietati ai minori di 16 anni: è giusto?

Martedì 22 Dicembre 2015

È della settimana scorsa la notizia che l’Unione Europea ha introdotto il divieto all’uso dei social ai minori di 16 anni, lo sapevate? Questo divieto mi lascia perplessa ma la mia posizione è ambivalente.

Da una parte in qualsiasi altro momento della loro vita sono io a dover firmare per la loro privacy fino ai 18 anni, cosa che invece non accade sui social, dall’altra mi rendo conto che è una nuova forma di socializzazione, ma anche di vivere, e non sempre noi genitori possiamo metterci becco. Abbiamo voluto chiedere un parere a Valentina Vellucci, coach per il corso SuperAdvanced Facebook di Performance Based e docente per il Master in marketing e comunicazione Idea Programme, e ne abbiamo tratto un quadro davvero illuminante.

Valentina ha iniziato a lavorare nell’ambito del marketing digitale nel 2010, Nel 2012 approda in MagillaGuerrilla, network di professionisti specializzato in unconventional e digital marketing, di cui è attualmente socia e per cui cura strategia digitali e misurazioni dei relativi risultati. Nello stesso anno inizia a occuparsi di formazione in Social Media Marketing e strategie di Crisis Management con lo Studio Samo. Dal 2013 è speaker per diversi eventi formativi a tema digital. Dal 2013 è consulente digitale per Leotron sas. Nel 2014 è stata selezionata tra centinaia di candidati come social media editor e consulente digitale per il quotidiano La Stampa. 

Come formatore digitale, qual è la tua posizione sulla presenza di bambini, ragazzini e adolescenti in rete? Come sono i ragazzini nei social?

Disinibiti e indifesi, proprio come lo sono al bar, in gelateria, dentro al branco e fuori dal branco. E questo lo dico da formatore aziendale e da sorella maggiore di una adolescente di 15 anni. La grande illusione dei nostri tempi, ovvero che i nativi digitali siano di natura tecnologici si sta rivelando per ciò che è: un gigante dai piedi di argilla, che sta affondando in tutta la sua fragilità. Tecnologicamente evoluti, sensibilmente ritratti in storie finite male su whatsapp e drammi esistenziali consumati in chat di gruppo su telegram, questi sono i nativi digitali. Sono contraria all’assenza tecnologica e favorevole all’esistenza anche tecnologica.

Come sono i genitori di questi ragazzini? Disattenti e superficiali o iperprotettivi?

Anche loro indifesi. E impreparati. Passano da un sistema relazionale in cui era bello investire del tempo per ascoltarsi, guardarsi e capirsi a uno in cui non c’è tempo per dedicarsi del tempo. Un fastfood della comunicazione che ci lascia tutti estremamente disarmati, allo stesso tempo iperstimolati ed ebbri di notifiche.

Come sono i genitori di questi ragazzini? Degli eroi. Dei noiosi, talvolta burberi e iperprotettivi eroi. Non so cosa sia più difficile al giorno d’oggi: se essere genitore o adolescente. So però cosa è facile: è facile avere paura e giudicare in base alla paura stessa. Quante volte gli atteggiamenti dei ragazzini vengono bollati “ma stai sempre lì? Ma sei sempre a perdere tempo con quel coso in mano?!”. Ignorare qualcosa e bollarla come inutile è la tentazione più semplice cui cedere per evitare di conoscere il mondo per quello che è: diverso da come noi lo vorremmo.

Alex Corlazzoli nell’articolo dice: “Il vero problema non è proibire i social network a chi non ha ancora la cosiddetta “età digitale” fissata dall’Ue, ma educare i nostri ragazzi a usarli. Vanno insegnate loro le regole del gioco.” Come vedi la possibilità che un’educazione digitale avvenga in Italia? È possibile?

La possibilità di fare educazione digitale c’è: in generale i programmi scolastici italiani portano sulle spalle la polvere ormai putrefatta di una morbosa resistenza al cambiamento. Una resistenza che si manifesta anche nella mancanza di supporto agli insegnanti nel provare ad adeguare alle esigenze dei giorni nostri le materie trattate.

È possibile che l’ora in sala informatica sia qualcosa che un ragazzo del 2015 deve vivere come un miracolo scolastico? Mi risulta alquanto difficile credere che ci sia tempo per rifare 3 volte le guerre puniche in pochi anni ma non si sviluppi l’occasione per educare un ragazzo a capire come si cercano informazioni sulle guerre puniche attraverso i motori di ricerca. Forse non manca l’opportunità, ma l’interesse formativo di rendere i ragazzi consapevoli del loro valore.

Nessuno ha una ricetta, ma tu da dove partiresti per educare i ragazzini e i bambini al web?

Nessuno ha una ricetta perché ancora nessuno si è assunto l’onere di decidere e sbagliare. Ed è così che siamo rimasti immobili. Personalmente partirei dal percorso familiare: il computer non deve essere un oggetto che sta chiuso nell’ufficio di papà. Il pc deve essere in casa, in un luogo comune e consultabile da tutti: nessuno deve vergognarsi di non saperlo usare e nessuno deve abusarne. In quinta elementare, dovrebbe poi esserci un primo passaggio “comunitario” da classe off line a classe on line. Questo passaggio va fatto insieme a una figura educativa responsabile e qualificata, che non guarda il pc e vede “quel coso” ma vi trova una nuova opportunità di crescita. Per sé e per i suoi ragazzi.

Il web nasconde indubitabili pericoli, dal cyber-bullismo alla pedofilia fino alla truffa. Da mamma io ritengo sensato che i miei figli possano addentrarsi nel mondo dei social con il mio permesso, e sotto la mia supervisione fino ad una certa età. È anche vero che io sono in grado di dare una direzione ai miei figli, alcuni non hanno le competenze per farlo. Resta il fatto che si tratta di social che prevedono il trattamento di dati personali e in qualsiasi altro contesto fino alla maggiore età sono io a dover firmare per la privacy, perché nei social no?

In realtà dovrebbero essere i singoli Stati a richiedere in toto il rispetto delle proprie leggi, come avviene ad esempio in Inghilterra, in cui Facebook è vietato fino ai 16 anni poiché la sottoscrizione viene interpretata come una vera e propria trattativa commerciale. Il trattamento dei dati personali è un business troppo grosso che molti paesi, incluso il nostro, da una parte non capiscono per ignoranza in materia, dall’altra non vogliono capire per non rinunciare a opportunità di business.

Per i minorenni (e non solo) una sottoscrizione che prevede il trattamento dei propri dati personali dovrebbe essere sempre legata a un tutore consapevole di ciò che sta avvenendo. Allo stesso tempo, questa supervisione non dovrebbe impedire la costruzione dell’identità digitale del minore che per la prima volta si approccia sui social.

Una formula di sottoscrizione dedicata a coloro i quali non hanno ancora la maturità per intraprendere la propria avventura social, supervisionata da un tutor digitale, potrebbe essere l’approccio giusto per evitare la distruzione dell’identità del minore e le opportunità, da parte delle aziende, di un business sfrenato con soggetti inconsapevoli. In generale, un percorso formativo che rende i ragazzi consapevoli delle tracce che lasciano on line potrebbe renderli non sono nativi digitali consapevoli della propria epoca, ma anche nativi digitali utili a questa e alle epoche che verranno.

Ho letto di recente un libro molto interessante e decisamente controcorrente “Demenza digitale”. In poche parole l’autore sostiene che l’abuso di dispositivi interattivi (anche e soprattutto a scuola), la dipendenza dal mondo dei social che molti adolescenti sviluppano, limitano le loro potenzialità, impediscono di apprendere competenze fondamentali, soprattutto a livello sociale e umano. Schiere di psicologi e psichiatri elencano la quantità illimitata di danni che il web sta causando nei nostri figli, spersonalizzazione, allontanamento dalla realtà, incapacità sociale e comunicativa soprattutto verbale, mancanza di responsabilizzazione (tanto sei in rete nessuno ti conosce) e via discorrendo. Tu cosa ne pensi?

Non mi sembra che nel 1933 ci fosse internet, eppure era pieno di dementi analogici che osannavano Hitler. Senza voler fare di tutta un’erba un fascio, in questi studi vedo una forte parzialità, scollata totalmente dalla realtà dei modelli familiari, sociali ed economici attuali. Una parzialità che tende a colpevolizzare le famiglie su responsabilità educative che non possono avere, un’aridità mentale che di fronte all’elefante presente nella stanza chiude gli occhi sperando che tutto passi. Il social è adesso e non si torna indietro.

Abbiamo l’opportunità di imparare tanto, immensamente tanto da queste generazioni. E abbiamo l’opportunità di arrabbiarci tanto, davvero tanto con queste generazioni. In tutto questo, possiamo fare e disfare in una dimensione sociale in cui l’unica cosa che non dovremmo mai perdere di vista è il tempo. Vale più una chat di un minuto su whatsapp oppure una chiacchierata di un minuto al bar? È davvero così diverso?

È davvero whatsapp che ci impedisce di comunicare e/o che ci costringe a indossare una maschera comunicativa? Non sono forse fatti di convenevoli molti dei nostri sorrisi natalizi? Non sfoggiamo i nostri migliori “come stai?” sperando di non avere risposta ogni volta che incontriamo una persona sgradevole al supermercato, cui per pudore non diciamo reamente ciò che proviamo? Pesa più un chilo di piume o un chilo di ferro? Il peso è lo stesso. È la percezione che è totalmente diversa. Forse il problema non è come la tecnologia ci ha fatto diventare, ma come velocemente ci mostra quello che siamo diventati.

Cosa manca davvero in Italia, nella scuola, nell’educazione in genere? Il tempo? I soldi? Legislatori che capiscano la generazione 2.0? Tutto questo e anche altro?

Banalmente? Tutto quello che hai detto e l’interesse nel creare dei cittadini digitali consapevoli. Un cittadino digitale consapevole conosce i suoi diritti e non ha paura di usare tutti i mezzi a disposizione per difenderli. Un popolo ignorante è più facile da domare. Alla base, manca l’amore per il popolo italiano da parte della classe politica, che ci augura secoli di ignoranza digitale.

Esistono realtà che sopperiscono al vuoto legislativo ed educativo? Sull’educazione digitale ai minori?

Personalmente non ne conosco, ma invito i lettori a segnalarle per poter aprire un dialogo con chi si sta martirizzando per questa causa. Quello che so, per esperienza diretta, è che ci sono gruppi di genitori che stanno facendo formazione da sé per capire i propri figli e i loro linguaggi comunicativi.

Io vedo i due lati della medaglia a casa. Da una parte i bambini (hanno 8 e 10 anni) sono talmente assorbiti da un videogioco che diventa un’ossessione totalizzante. Non parlano d’altro, non pensano ad altro, vivono la settimana nell’attesa dell’ora di videogioco. Vogliono vedere youtuber che parlano del loro videogioco, ammirano ragazzini che perdono il loro tempo filmandosi mentre videogiocano e youtuber che hanno fatto i soldi facendo le boccacce (da Frank Matano in giù). Dall’altra vedo una capacità incredibile di sfruttare lo strumento. Mio figlio ha già provato ad aprire un blog e ora sta lavorando ad un altro. Scrive, pensa, costruisce, fotografa, cerca immagini, le adatta con Picmonkey, da un senso ad un sito. Come mamma mi sento un funambolo. In più la polizia postale fa incontri annuali nelle scuole e terrorizza i genitori (escono letteralmente sbiancati e spaventati, giuro) con i pericoli di internet. Consigli a genitori disorientati e spaventati?

Credo che l’immagine del funambolo descriva alla perfezione lo status di genitore di questi anni. Per prima cosa bisogna stare estremamente calmi. Purtroppo ogni adolescente che si rispetti ha la fase Frank Matano. E non è la peggiore. Nel senso, ci sono le fasi “tuta di acetato, simil Spice Girl, tradimento da One Direction, momento The Kolors vs Dear Jack”. La strada è lunga e ricca di musica diversamente bella, abbigliamento diversamente consono alla propria età, linguaggi diversamente comunicativi rispetto a ciò che ci si aspetterebbe.

1) Non andiamo nel panico: siamo riusciti a masterizzare le canzoni del FestivalBar da trasmissioni radio random: da lì in poi è tutta discesa.

2) Non sminuiamo le abitudini dei nostri figli: anche se pensiamo che perdano tempo con quel cellulare sempre in mano, è necessario ripeterglielo 312 volte al giorno? Non perdevamo anche noi tempo a giocare a campana?

3) Non sforziamoci a essere genitori fiki, o peggio genitori amici: nessun adolescente vuole un matusa come amico. Manteniamo intatto il nostro ruolo familiare, magari deputando un solo sistema di messaggistica alle comunicazioni prioritarie fra famigliari. Es. se fai tardi, mandami un audio su whatsapp così posso sentire che stai bene [ e se è il caso sgridarti per non aver rispettato una regola]

4) È inutile vietare lo smartphone a tavola se tanto parliamo di lavoro: se nostro figlio usa il cellulare a tavola forse è perché stiamo parlando dei fatti nostri e lo stiamo ignorando. Se lui ci ignora con lo smartphone è maleducato, se lo ignoriamo noi parlando di lavoro siamo autorizzati in quanto genitori?

5) Introduciamo la tecnologia nelle nostre vite. Se non vogliamo essere presi in giro ed esclusi dall’emotività dei nostri figli facciamo uno sforzo e adottiamo Facebook o Telegram anche nelle nostre abitudini quotidiane: magari scopriamo che ci piace!

6) Non superiamo certi confini: dopo i 18 anni un profilo su Ask.fm è a dir poco patetico. Studiate il social, googlate vostro figlio ma per carità non fingetevi un suo amico su social palesemente inadatti alla vostra età.

7) Diamo il buon esempio: i bambini guardano, i bambini imparano. Mostriamo per primi a nostro figlio i principi della convivenza civile on line e off line. Deve partire da noi la contestualizzazione di “buoni cittadini digitali”.

8) Arrabbiamoci anche se il bullismo è solo digitale. Le azioni fatte on line off line hanno lo stesso peso. Non pensiamo che una offesa digitale sia meno grave di una fatta off line. Entrambe hanno ripercussione sul mondo reale.

9) Insegniamo ai nostri figli che tutto quello che facciamo lascia una traccia on line.

10) Guardiamo uno dei suoi beniamini preferiti su Merchant o YouTube: condividere un’esperienza buffa o divertente elimina qualsiasi distanza.

11) Smettiamola di sentirci in colpa: basta con i confronti con la madre super digitale e con il papà super-sai-tutto. Evitiamo questo genere di parassiti emotivi. Insegniamo ai nostri figli che la lente migliore attraverso cui vederci è quella delle persone che ci vogliono bene. Forse non avremo una timeline traboccante di viaggi fighissimi, ma avremo la consapevolezza di non essere mai soli nel momento del bisogno.

12) Non preoccupiamoci troppo di quello che i nostri figli non condividono con noi, preoccupiamoci più delle compagnie con cui scelgono di condividerlo o meno. Da sempre gli adolescenti hanno bisogno di costruire un piccolo branco di sicurezza per far esplodere la propria personalità. Non potremo mai, in nessun caso, proteggere i nostri figli dai potenziali pericoli del mondo: possiamo però accompagnarli in una crescita personale, che li possa rendere persone in grado di ascoltare e di ascoltarsi on line e off line.

13) Dimenticavo, se possibile, dotiamoci di un telefono un po’ più evoluto del mitico Nokia 3210.

 



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