Racconti in sala parto: la nascita di Mattia

Venerdì 29 Marzo 2013

Ho avuto una gravidanza fantastica, in nove mesi si sono registrati giusto pochi fastidi per l’acidità, qualche doloretto, mai una nausea o un mal di schiena. Una meraviglia. Tutta questa fortuna però l’ho pagata con gli interessi al momento del parto.

Il settimo mese è stato quello cruciale. Mattia, che era stato podalico fino a quel momento, si era finalmente girato, convincendomi che avrei potuto avere un parto naturale. In più, l’ostetrica del corso preparto, quando le spiegai di alcuni lievi doloretti che avevo, sentenziò che forse avrei partorito prima del termine. E mi disse anche che dovevo smettere di guidare.

Quindi ero lì, chiusa in casa senza poter prendere la macchina, in attesa di un parto naturale in anticipo sui tempi. Niente di più sbagliato. Qualche settimana prima della presunta data X mi trasferii da mia madre, ed è stato lì che una sera abbiamo dato il meglio di noi mettendo in scena il siparietto “oh cavolo sta nascendo”. Avevo avuto dei doloretti per tutto il giorno, in più mi ero anche convinta di aver cominciato a perdere le acque. Mettiamoci la profezia dell’ostetrica et voilà, tutti in allarme convinti che fosse arrivato il momento.

Il mio ex marito era a lavoro, mio padre a Roma e per fortuna non li facemmo correre di fretta e furia. Io e mia madre corremmo all’ospedale, e lei parcheggiò proprio accanto ai poliziotti che erano fissi nella piazzetta, e quando uno di loro di azzardò a dirle “signora qui non si può stare”, ecco la mutazione. Occhi iniettati di sangue, voce che neanche l’esorcista “mia figlia sta partorendo”.

Tutte baldanzose entriamo al pronto soccorso, dove subito dopo aver visto il mio pancione un tipo mi indica l’ascensore per il reparto e preme un pulsante. Parte un allarme, e quando esco dall’ascensore mi trovo un tot di gente pronta a far nascere Mattia.

Ovviamente lui tutto voleva fare quella sera meno che uscire, quindi intaschiamo sta bella figura e facciamo il percorso a ritroso, sotto gli sguardi ironici del tipo che aveva premuto il pulsante e dei poliziotti. Questa è stata l’unica cosa divertente di quelle settimane.

Ormai il termine era passato da un pezzo, i monitoraggi non indicavano nessun movimento, e il medico decise di fissarmi l’induzione. Arrivai in ospedale con il mio ex marito e i miei genitori, non ero terrorizzata. Di più. Quel giorno avrei conosciuto Mattia, la mia vita sarebbe cambiata completamente e per sempre. Stavo per diventare mamma. Dopo la visita il gine mi annunciò che ero a 2 cm e mezzo di dilatazione, sembrava proprio che Mattia fosse pronto a nascere quel giorno. Errore. Mentre mio padre sbrigava le pratiche per il ricovero, mi si ruppero le acque. Ma non erano affatto limpide.

Lo dissi al medico, che per tutta risposta mi bloccò in un letto attaccandomi al monitoraggio. Addio sogni di travaglio attivo. Restai a letto ore, con solo poche contrazioni, e intanto continuavo a perdere liquidi. Dopo un bel po’ di tempo, il medico decise di procedere, e mi fece scendere in sala travaglio per cominciare con l’ossitocina. Per fortuna non c’era nessun altro, e tutta l’allegra tribù di genitori suoceri sorella marito venne con me.

Sembravamo quasi in gita scolastica, ancora riuscivo a ridere e scherzare. Non soffrivo neanche tanto con le contrazioni, cominciai a pensare di avere una resistenza al dolore che non immaginavo. Poi il medico aumentò la dose… e cominciai a vedere le stelle.

Mia sorella, che leggeva la macchinetta del monitoraggio come un oracolo, si accorse che ad un certo punto i battiti di Mattia erano scesi e subito risaliti. Dopo un altro po’, vide che i battiti erano arrivati di nuovo a 90, e schizzò fuori a chiamare il medico. Tutti fuori, visita e tegola sulla testa. “Hai ancora 2 cm e mezzo di dilatazione, prepariamo per il cesareo d’urgenza”.

Non dissi nulla, lui mi rispose che ero coraggiosa. No, ero stanca, e preoccupata per mio figlio. Tempo dieci minuti e Mattia era nato, presentandosi al mondo con un urlo che non avresti mai detto potesse provenire da un esserino così piccolo.

Me lo fecero vedere solo un attimo prima di lavarlo…era verde, completamente ricoperto di meconio. Era andato in sofferenza, ma vederlo lì, che urlava a pieni polmoni, mi convinse che il brutto era passato. Errore. Dopo un giorno passato a tenerlo in braccio, a cercare di realizzare quello che era successo, a sorprendermi dell’amore fortissimo che stavo provando, a tentare inutilmente di attaccarlo “signora ha ancora dei muchi”... venne la pediatra del nido con il mio fagottino a dirmi che lo portavano su. In terapia intensiva. Per problemi respiratori.

Ancora una volta non riuscii a parlare, lei se ne andò e io rimasi nel letto a fissare il vuoto. A stento sentivo la voce di mia madre e delle mie compagne di stanza che cercavano di tranquillizzarmi. Venne subito mio padre, che in quanto medico fecero salire in reparto alle dieci di sera, e poi mi spiegò che dovevano “solo” fargli delle analisi, degli esami per controllare che fosse tutto a posto.

Facile immaginare come mi sono sentita in quei giorni. In camera eravamo quattro, ed era un via vai di neomamme che si coccolavano i figli e li allattavano, mentre io per vederlo in una cullina dovevo affrontare una rampa di scale con i dolori del post cesareo e mettere una mascherina.

Dopo i quattro giorni più lunghi della mia vita decretarono che Mattia stava bene, e potevamo tornare a casa. Io e lui, totalmente ignari di quello che ci aspettava, ma finalmente insieme.

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Grazia Calderaro

Sono Grazia, una mamma di 30 anni. Ho un bimbo di 8 anni, un compagno e un gatto!

Vado avanti a cappuccini a ogni ora del giorno, sono perennemente (e inutilmente) a dieta e, soprattutto, sono innamorata pazza di mio figlio, che a otto anni ancora non ha capito che chi comanda dovrei essere io! Mi trovate anche sul blog Una mamma normale.