Lego mon amour

Venerdì 13 Settembre 2013

Quando ero molto piccola amavo il rosa, i giocattolini frou frou e la casa delle bambole il minimo sindacale. Intendiamoci: di storie fantastiche che avevano come attori un branco di Barbie e Ken invischiati in romantiche faccende amorose ne inventavo parecchie, assieme alla mia amichetta del cuore. Però difficilmente quel bellimbusto plasticato aveva la meglio sulla sua eterna fidanzatina. L’automobile la guidava lei. Era di Barbie, non di Ken. Perciò lui doveva rassegnarsi a sedersi dal lato passeggero e difficilmente le apriva lo sportello in modo galante per non farle sciupare le scarpine di cristallo.

A me piacevano di più quelli che, a causa di uno stereotipo ancora ostico a morire, vengono definiti “giochi da maschio”. Sarò un personaggio bizzarro io, non discuto, però a mio avviso un gioco è semplicemente un gioco. Credo che il mio amore smodato per i Lego sia scaturito da una sorta di ribellione all’ordine naturale delle cose, un dogma sessista che non avevo certamente inventato io. Da piccola era graziosa, sembravo una pupazzetta, forse è anche per questo che con le bambole non ho giocato poi così tanto. Troppo bamboleggiare non avrebbe giovato alla mia formazione mentale, preferivo spaziare su altro.

Oggi il rosa è uno dei colori che detesto e questo a prescindere dal fatto che identifica universalmente il sesso femminile. Non mi piace e basta, è troppo smielato, così come non amo certi toni del marrone, che è troppo triste. I mattoncini Lego con cui mi divertivo da piccola erano un arcobaleno di creatività, io ho sempre adorato produrre qualcosa con le mie mani e non ho mai dato troppa importanza se il risultato era una pista di atterraggio per i caccia bombardieri o una casetta per la mia Barbie.

Mio figlio, 9 anni e una manciata di mesi, adora i Lego esattamente come me con la differenza che quelli con cui giocavo io da bambina stanno a quelli con cui gioca lui come gli effetti speciali di King Kong stanno a quelli di Matrix. Le scatole di Lego di oggi sono spettacolari, un qualcosa da far perdere la testa e pomeriggi interi di appassionante costruzione.

Il massimo della particolarità dei miei Lego erano le finestrelle che applicavi sulle colonne delle casette, quelle con i minuscoli vetri che si potevano aprire. Impazzivo per quelle finestrelle, pensate un po’. Detto questo, immaginate come possa sentirmi al cospetto della scatola del Castello di Harry Potter o delle costruzioni Lego-Tronics. Il primo è una roba da studente di ingegneria al terzo anno, per le seconde devi essere come minimo a un passo dalla tesi. Questo per i comuni mortali, quelli che non hanno il cervello settato per certe faccende. Quelli che invece nascono con la logica della costruzione nel DNA, il Castello di Harry Potter te lo costruiscono in un pomeriggio, tipo mio figlio due anni fa. Si è rinchiuso nella sua cameretta per cinque ore senza fare un fiato. Un miracolo, considerando che la riflessione principe sulla mia maternità è: “Non avevo mai incontrato qualcuno che parlasse più di me. Allora l’ho partorito”.

Lo scorso Natale, invece, ha avuto qualche difficoltà con la macchina di Lego-Tronics. Allora gli ho dato una mano io. La mia funzione è stata quella del ragazzetto di bottega: l’ho aiutato a suddividere gli infinitesimali componenti della macchina in tante ciotole quante erano i colori. Così è stato più semplice mettere in piedi una meraviglia meccanica che, ve lo giuro, ogni volta che ci gioco mi salgono le lacrime agli occhi. Perché ci gioco anch’io, sì. Da piccola volevo fare il meccanico, oggi per guadagnarmi da vivere scribacchio. Pensate un po’ quanto è incoerente la vita, a volte.

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Luana Troncanetti

Scrittrice per caso, schiava devota dell'ironia, demente informatica, logorroica incallita e mamma strafelice di Alessandro. Sono perennemente allegra, anche quando vorrei impiccarmi con la cinghia dell'accappatoio.

Nei miei articoli sproloquierò a caso fin quando non mi cacceranno dalla redazione. Al momento, potete leggere i miei post sul blog La staccata e su Genitori Crescono.



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